lunedì 1 dicembre 2008

paleface

Lo studio del padre lo aveva sempre attratto. Forse era per via dell'odore di fumo vecchio e stantio o del grosso divano di legno rivestito di velluto, ma è li che andava per provare a pensare e quel giorno più che mai aveva bisogno di pensare.

Chiuse a chiave la porta e si buttò sulla poltrona dietro la scrivania. Aveva portato con se un paio di confezioni da sei bottiglie di birra e un pacchetto nuovo di sigarette. Aveva intenzione di stare li dentro a riflettere per un po’.

Nell’angolo della stanza opposto alla scrivania, su uno scaffale, c’era un grosso televisore che avrà avuto ormai venti anni. Doveva essere costato una fortuna, all’epoca. C’era anche un videoregistratore e sopra le mensole c’era la collezione di vhs western a cui il padre teneva tanto. Lo ricordava mentre scartabellava a sbuffava nuvole di fumo, mentre a basso volume i saloon venivano rasi al suolo.

C’era un film in particolare, che gli si era stampato bene in testa. Lo cercò in mezzo agli altri, tutti ricoperti di polvere, lo infilò nella fessura e riavvolse il nastro. Trovò il telecomando e tornò a sedersi alla sua scrivania.

PLAY. Titoli di testa, stava iniziando. L’accendino accese la sigaretta e poi stappò la prima bottiglia. Nuvola di fumo bianco.
Ciao, papà.


Abbassò il volume della televisione perché a lui i western facevano schifo. E poi doveva riflettere.

Di fianco c’era uno specchio con sopra incollate vecchie foto. Occupava quasi tutta la parete e riusciva a specchiarcisi per intero, seduto alla scrivania mentre sbuffava le nuvole di fumo bianco. Si guardò un po’ negli occhi e finalmente si decise a parlare.

- Finalmente soli – aspirò a fondo.
- Già – 
- Devo parlarti. E’ un po’ che non parliamo, ne abbiamo bisogno. –
- Hai ragione. Come va? Sei felice? –
- Felice? Forse, a momenti… come sempre d’altronde. – 
- Cosa c’è che non va? –
- Non so, ho idea di aver sbagliato a interpretare la vita. –
- Cosa c’è da interpretare, nella vita. –
- Tutto. Ci svegliamo guardando l’orologio perché vogliamo sapere quanto tempo manca all’ora di andare a letto. Ci domandiamo qual è la percentuale di mattina che abbiamo buttato via, perché la giornata è tutto ciò che ci resta. Tu come la vivresti senza interpretarla, una cosa del genere? –
- In effetti non saprei. Non ci resta che il tempo, ma col tempo ci puoi fare cosa vuoi. –
- E’ già un’interpretazione. A parer mio ci è stato dato troppo tempo. Finiamo con il rimandare e con l’oziare. Di punto in bianco però, una sera, ti giri e rigiri nel letto perché sai che la tua campanella sta per suonare e tu sai bene che hai posticipato ancora una volta, prima di sdraiarti. E’ arrivata l’ora di uscire e tornare a casa, ma tu non hai ottenuto niente in più di quando sei entrato. -
- Ho visto gente passare la vita a letto. Quando arrivò la campanella ridevano come bimbi. –
- Solo perché erano stanchi di aspettare. Dovremmo avere meno tempo, essere costretti a tenere il culo sempre ben in alto. Bisogna svegliarsi la mattina e fregarsene dell’orologio, perché tanto hai tutto il tempo di cui hai bisogno per cercare. L’importante è sapere cosa cercare. -
- Tu sai cosa cercare? –
- Ogni tanto. –

L’indiano del film si era appena rivolto al cowboy chiamandolo “viso pallido”. Era quella la scena che ricordava bene, lo faceva morire dal ridere. Iniziarono a ridere di gusto entrambi. Facevano un gran casino ridendo e sembrava che avrebbero riso per sempre. Poi però la finirono.

Altro giro per l’accendino. Birra e sigaretta, sigaretta e birra.

- Avrei dovuto reclamarla, perché mi appartiene. Avevo capito cosa cercare e l’avevo trovato. Non può essere solo caso. Perché il caso dovrebbe sbatterti in faccia la risposta e poi portartela via? Non riesco a pensare che potrebbe farmi una cosa del genere.
Già. E’ stata colpa mia, il caso non c’entra niente. Ho continuato a rimandare. fino a che... ecco quella maledetta campanella.
- Parli di quella ragazza? -
- Non solo, parlo della mia vita. Della mia vita insieme a quella ragazza. Una vita qualsiasi che diventa la mia. Ho lasciato che il tempo a mia disposizione si prendesse la mia vita.
Ha cambiato paese, ora, non c’è piu verso di rintracciarla. Il suo cellulare non funziona. Penso sia andata via con quel tipo. Deve avere una gran testa quel tipo, perché la sua faccia non vale un cazzo. -
- Non prendertela con lui, hai detto tu stesso che la colpa è tua. -
- Hai ragione. Avrei solo bisogno di dormire, adesso. Dormire a lungo. -
Se solo sapessi dove la nascondeva…
- Il secondo cassetto, sotto la televisione. E’ da li che la prendeva la notte di capodanno. -

Si alzò a controllare. Era vero. Era li. La 9mm di suo padre, come nuova. Era la pistola che la sua famiglia si tramandava da secoli, di padre in figlio, come il cognome. Quando uscì da sua madre ebbe in premio un cognome e una pistola. Si era chiesto a lungo cosa volesse dire tramandarsi una pistola, e ora aveva una possibile risposta.

La poggiò sullo strato di vetro che copriva il piano della scrivania e alzò la testa verso la televisione:

“viso pallido”

-AHAHAHAHAHAHAHAHAH!- ridevano –AHAHAHAHAHAH!-

Mandò ancora una volta indietro il nastro e fece lavorare di nuovo l’accendino. Birra e sigaretta. Erano le ultime. Ultima birra e ultima sigaretta.
Con una mano portava la sigaretta e la birra alla bocca, per ciucciarle per bene, con l’altra faceva girare la pistola sul tavolo. Ci giocherellava.

- Sei ubriaco. Dovresti lasciar perdere o almeno pensarci su per bene, da lucido. -
- Sono ubiaco e non ci penso. E’ per questo che tutto filerà liscio, invece. -
- Quella pistola uccise tuo padre. -
- Mi sembra giusto. -

Finì quel che restava della birra con un sorso e spense l’ultima sigaretta. 

La sua campanella aveva suonato, e lui stava per tornare a casa. Niente di più, niente di meno di quando era entrato.

- A presto, caro mio. -

La canna d’acciaio gli graffiò il palato. Fu un attimo.
Ora la finestra dietro di lui era sporca di sangue e robaccia. Tutta la parete era sporca di sangue e robaccia. Il sole si stava sporgendo a guardarlo per l’ultima volta prima del tramonto, attraverso quella finestra, e senza accorgersene illuminò le macchie di sangue, stampandone le ombre vicino alla grosso viso dell’indiano.

“viso pallido”

Questa volta, però, non rise nessuno.

Nessun commento: