giovedì 11 dicembre 2008
scribbles, noise and swearwords.
lunedì 8 dicembre 2008
Caffè
Uscii di casa di fretta e senza il mio caffè e quando mi voltai velocemente per controllare che la porta fosse ben chiusa, l'odore acre del caffè bruciato mi penetrò il naso.
Buongiorno!
Era tardi, non avevo tempo di fare la fila del mattino al bancone del bar, mi accontentai di una sigaretta a stomaco vuoto.
Nel momento in cui arrivò l'autobus la sigaretta mi cadde dalle dita e di riflesso feci uno scatto indietro. Il mio naso andò a finire esattamente nella nuvoletta di puzzo di caffè troppo caldo.
E' tardi.
Per tutto il giorno fu come se un altro me stesso fatto d'aria intrisa di odore di caffè bruciato stesse aggrappato alla mia schiena.
Ovunque fossi non ero mai solo.
Iniziai a cercare puzzadicaffè.
Seduto all'ultimo posto in fondo del pullman mi voltavo di scatto, affondando per qualche attimo le narici in quell'ombra tutta mia.
Una donna dalla faccia vecchia ma piena di trucco mi si sedette accanto e sistemandosi il cappotto spinse via la mia nuvola, rimpiazzandola col suo profumo banalissimo da campioncini gratuiti. Dovetti alzarmi e cercarmi un altro posto.
Eravamo io e puzzadicaffè, stavamo cercando di capire come comunicare e nessuno doveva disturbarci.
Si fece sera, ora di tornare a casa.
Aprii la porta e puzzadicaffè era ancora li, ancora ovunque. Iniziai a sentirmi oppresso, cominciavo a pensare che la mia compagnia non gli sarebbe mai bastata.
Eravamo stati insieme tutto il giorno, era stato bello, ma adesso avevo bisogno di starmene un pò per fatti miei e lui non lo capiva.
Litigai pesantemente con puzzadicaffè, forse esagerando un pò.
Ad ogni modo non lo incontrai più.
Sbagliando si impara,
e la prima volta che lasciai la moka per troppo tempo sul fuoco imparai a portare i capelli corti.
sabato 6 dicembre 2008
mercoledì 3 dicembre 2008
Crêpe
Le 12:00 erano passate da un pezzo quando si decise ad aprire gli occhi e scendere dal letto. Si infilò i pantaloni della tuta e si trascinò in cucina per preparasi qualcosa da mangiare. Frittata nel panino, una cosa veloce. Ci voleva la cipolla però. Frittata e cipolla nel panino.
Si buttò sul divano per masticare comoda. Alla tv alcune attrici con vita stretta e lingua lunga si contendevano un bel pezzo di cristiano.
Se ce ne fosse solo una che sapesse starsene al posto suo, avrebbe già vinto. Ma in tv si combatte ad armi pari.
Cambiò canale, quella roba non era per lei. I Simpson, adorava i Simpson.
Linda si era laureata in lettere e filosofia con ottimi voti e in tempo record, da ormai dieci anni. Dopo la laurea decise di starsene buona per un pò. Non aveva nessuna voglia di lavorare e sua madre non le aveva ancora fatto pressione, anzi, continuava a mandarle soldi ogni mese.
Viveva nell'appartamento che il padre le aveva lasciato in eredità. Ne aveva lasciato uno a lei e uno a suo fratello, nello stesso palazzo.
Lui era il suo esatto contrario. Pesava solo 70kg e dopo il diploma aveva subito iniziato a lavorare in un officina, come meccanico.
Ogni tanto si vedevano per cena e lui le faceva le solite storie per via dei chili di troppo e del fatto che non faceva assolutamente niente tutto il giorno, tutti i giorni.
Scrollò la canottiera sintetica bianca e le briciole del panino volarono sulle pantofole e sul tavolino sudicio, coperto da cartoni di pizza e buste di carta del McDonald's.
Basta McDonald's... avrebbe ordinato qualcosa al ristorante cinese per cena, ma ora ci voleva un sorso di coca. Si sporse il giusto, per afferrare la bottiglia aperta di Pepsi semi-sgasata e tracannò dalla bottiglia.
Era sveglia da meno di un'ora, ma prima ancora che la sigla finale chiudesse i Simpson, la testa le cadde all'indietro, sullo schienale del divano.
Da un pò di tempo sognava ogni volta che chiudeva occhio, anche per pochi minuti.
Questa volta era ben vestita, con i capelli appena acconciati, seduta ad un tavolo di un ristorante che doveva essere in centro, perchè dalla parete di vetro al suo fianco vedeva la gente passeggiare.
Seduto davanti a lei c'era Daniele, un suo ex compagno di corso.
Era proprio come in quella foto della festa di capodanno. Ai tempi dell'università ne era innamorata pazza ma aveva sempre fatto il possibile per non farglielo capire.
Ogni tanto le tornava in mente, insieme a una gran voglia di crêpes straripanti di nutella.
Mangiavano pesce e si guardavano negli occhi. Lei sarebbe dovuta essere terribilmente imbarazzata. Aveva immaginato più volte quella scena, facendo fuori pacchi interi di patatine gusto panna acida, e non era mai riuscita a farsi venire in mente un buon argomento di conversazione. Nel sogno però parlava e rideva con naturalezza. Aveva addirittura dimenticato che il vestito le stringeva all'altezza dei fianchi.
- Ricordi quel giorno in cui... -
- Si, certo! Ahahah! E' stato fastastico... -
Ora il ristorante non esisteva più ed eccoli in una stanza, forse di un albergo, comunque non sua. Lui le versava del vino in un calice di vetro mentre le sussurava qualcosa da molto vicino.
Finalmente la buttò sul letto ed iniziò a baciarla. Sentii le sue mani ovunque e iniziò ad ansimare. Stava per scoppiare a piangere, dovette trattenersi.
Si fece forza ed iniziò a sbottanargli la camicia. Ma lui la fermò immediatamente, allontanandole le mani.
-E' ora di mangiare qualcosa-
-Ma siamo appena usciti dal ristorante...- tentò di replicare, ancora ansimante
-Beh, ci vuole comunque un dolcetto-
Tirò fuori una grossa torta paradiso da qualche parte e gliene mise in bocca una fetta intera.
-Mmmmggghhhh-
-Su su, non fare storie-
Gliene spinse dentro un'altra fetta. Lei cercava di masticare e mandare giu, ma era troppa tutta in una volta e non ce la faceva.
Ancora un altro pezzo, poi cambiò dolce. Ora era un semifreddo giallastro. Ne prendeva grosse fette con le mani e gliele ficcava in bocca, sporcandole tutta la faccia.
-Dai, so che ce la fai- disse lui
-Mggggghhh- disse lei
Cercava di farsi venire in mente qualcosa per liberarsi da quella situazione, ma faceva fatica a muoversi già per conto suo, figurarsi con una persona a cavalcioni sulle sue gambe. L'ansia e la bocca piena le avevano dimezzato il respiro.
Lui continuava con i dolci. Bomboloni alla crema, crostate, ciambelle, torte al cioccolato, bignè, cannoli alla ricotta, spiengeva tutto dentro il buco di quella faccia grossa e sporca.
Lei soffiava e sputava quello che riusciva, masticava e ingoiava il resto.
Non ce la faccio più, sto per vomitare, sto per scoppiare.
Un conato di vomito impossibile da trattenere la svegliò di scatto.
In tv la pubblicità di una pedana vibrante per dimagrire senza sforzo.
Forse una le avrebbe fatto comodo.
Affiancata ad una corretta alimentazione, risultati sicuri.
Forse no.
Era sera, ormai. Agguantò il telefono per telefonare al ristorante cinese e compose meccanicamente il numero.
Testa e stomaco ancora scossi dall'incubo.
Incubo?
Beep... beep.
-Pronto?- al di la del filo.
-Daniele??-
lunedì 1 dicembre 2008
paleface
Lo studio del padre lo aveva sempre attratto. Forse era per via dell'odore di fumo vecchio e stantio o del grosso divano di legno rivestito di velluto, ma è li che andava per provare a pensare e quel giorno più che mai aveva bisogno di pensare.
Chiuse a chiave la porta e si buttò sulla poltrona dietro la scrivania. Aveva portato con se un paio di confezioni da sei bottiglie di birra e un pacchetto nuovo di sigarette. Aveva intenzione di stare li dentro a riflettere per un po’.
Nell’angolo della stanza opposto alla scrivania, su uno scaffale, c’era un grosso televisore che avrà avuto ormai venti anni. Doveva essere costato una fortuna, all’epoca. C’era anche un videoregistratore e sopra le mensole c’era la collezione di vhs western a cui il padre teneva tanto. Lo ricordava mentre scartabellava a sbuffava nuvole di fumo, mentre a basso volume i saloon venivano rasi al suolo.
C’era un film in particolare, che gli si era stampato bene in testa. Lo cercò in mezzo agli altri, tutti ricoperti di polvere, lo infilò nella fessura e riavvolse il nastro. Trovò il telecomando e tornò a sedersi alla sua scrivania.
PLAY. Titoli di testa, stava iniziando. L’accendino accese la sigaretta e poi stappò la prima bottiglia. Nuvola di fumo bianco.
Ciao, papà.
Abbassò il volume della televisione perché a lui i western facevano schifo. E poi doveva riflettere.
Di fianco c’era uno specchio con sopra incollate vecchie foto. Occupava quasi tutta la parete e riusciva a specchiarcisi per intero, seduto alla scrivania mentre sbuffava le nuvole di fumo bianco. Si guardò un po’ negli occhi e finalmente si decise a parlare.
- Finalmente soli – aspirò a fondo.
- Già –
- Devo parlarti. E’ un po’ che non parliamo, ne abbiamo bisogno. –
- Hai ragione. Come va? Sei felice? –
- Felice? Forse, a momenti… come sempre d’altronde. –
- Cosa c’è che non va? –
- Non so, ho idea di aver sbagliato a interpretare la vita. –
- Cosa c’è da interpretare, nella vita. –
- Tutto. Ci svegliamo guardando l’orologio perché vogliamo sapere quanto tempo manca all’ora di andare a letto. Ci domandiamo qual è la percentuale di mattina che abbiamo buttato via, perché la giornata è tutto ciò che ci resta. Tu come la vivresti senza interpretarla, una cosa del genere? –
- In effetti non saprei. Non ci resta che il tempo, ma col tempo ci puoi fare cosa vuoi. –
- E’ già un’interpretazione. A parer mio ci è stato dato troppo tempo. Finiamo con il rimandare e con l’oziare. Di punto in bianco però, una sera, ti giri e rigiri nel letto perché sai che la tua campanella sta per suonare e tu sai bene che hai posticipato ancora una volta, prima di sdraiarti. E’ arrivata l’ora di uscire e tornare a casa, ma tu non hai ottenuto niente in più di quando sei entrato. -
- Ho visto gente passare la vita a letto. Quando arrivò la campanella ridevano come bimbi. –
- Solo perché erano stanchi di aspettare. Dovremmo avere meno tempo, essere costretti a tenere il culo sempre ben in alto. Bisogna svegliarsi la mattina e fregarsene dell’orologio, perché tanto hai tutto il tempo di cui hai bisogno per cercare. L’importante è sapere cosa cercare. -
- Tu sai cosa cercare? –
- Ogni tanto. –
L’indiano del film si era appena rivolto al cowboy chiamandolo “viso pallido”. Era quella la scena che ricordava bene, lo faceva morire dal ridere. Iniziarono a ridere di gusto entrambi. Facevano un gran casino ridendo e sembrava che avrebbero riso per sempre. Poi però la finirono.
Altro giro per l’accendino. Birra e sigaretta, sigaretta e birra.
- Avrei dovuto reclamarla, perché mi appartiene. Avevo capito cosa cercare e l’avevo trovato. Non può essere solo caso. Perché il caso dovrebbe sbatterti in faccia la risposta e poi portartela via? Non riesco a pensare che potrebbe farmi una cosa del genere.
Già. E’ stata colpa mia, il caso non c’entra niente. Ho continuato a rimandare. fino a che... ecco quella maledetta campanella.
- Parli di quella ragazza? -
- Non solo, parlo della mia vita. Della mia vita insieme a quella ragazza. Una vita qualsiasi che diventa la mia. Ho lasciato che il tempo a mia disposizione si prendesse la mia vita.
- Non prendertela con lui, hai detto tu stesso che la colpa è tua. -
- Hai ragione. Avrei solo bisogno di dormire, adesso. Dormire a lungo. -
Se solo sapessi dove la nascondeva…
- Il secondo cassetto, sotto la televisione. E’ da li che la prendeva la notte di capodanno. -
Si alzò a controllare. Era vero. Era li. La 9mm di suo padre, come nuova. Era la pistola che la sua famiglia si tramandava da secoli, di padre in figlio, come il cognome. Quando uscì da sua madre ebbe in premio un cognome e una pistola. Si era chiesto a lungo cosa volesse dire tramandarsi una pistola, e ora aveva una possibile risposta.
La poggiò sullo strato di vetro che copriva il piano della scrivania e alzò la testa verso la televisione:
“viso pallido”
-AHAHAHAHAHAHAHAHAH!- ridevano –AHAHAHAHAHAH!-
Mandò ancora una volta indietro il nastro e fece lavorare di nuovo l’accendino. Birra e sigaretta. Erano le ultime. Ultima birra e ultima sigaretta.
- Sei ubriaco. Dovresti lasciar perdere o almeno pensarci su per bene, da lucido. -
- Sono ubiaco e non ci penso. E’ per questo che tutto filerà liscio, invece. -
- Quella pistola uccise tuo padre. -
- Mi sembra giusto. -
Finì quel che restava della birra con un sorso e spense l’ultima sigaretta.
La sua campanella aveva suonato, e lui stava per tornare a casa. Niente di più, niente di meno di quando era entrato.
- A presto, caro mio. -
La canna d’acciaio gli graffiò il palato. Fu un attimo.
“viso pallido”
Questa volta, però, non rise nessuno.