Il pub è pieno di gente poco profumata.
Non gente sporca, solo non cosparsa di liquidi costosi e odorosi.
Gente che lavora 10 ore di sabato e 8 ore durante la settimana, che al massimo può permettersi qualche boccale di birra di troppo per poter dimenticare che oggi è venerdì.
Ad ogni modo il pub è pieno.
Su uno sgabello di legno completamente inciso con scritte poco importanti è seduto S.
Se ne sta li da solo a dimenticarsi che oggi è venerdì, bevendo la sua pinta di birra che gli fa venire voglia di fumare.
Se non la smetto finirò il pacchetto. Non devo finire il pacchetto.
Accende una Marlboro e scola l'ultimo goccio di birra, ne ordina un'altra e mentre il barista la spilla lui si dirige verso il cesso.
Durante il tragitto si rende conto di barcollare leggermente, di avere la bocca amara e completamente rattrappita dalle numerose sigarette che si è fumato.
Quante ne ho fatte fuori? Dieci? Quindici? Quante birre? Quattro o cinque. Non di più.
Apre la porta che dà sullo stretto corridoio con i lavandini e si posiziona davanti alla porta chiusa del bagno degli uomini.
Passano pochi secondi, giusto il tempo di calpestare la cicca della sigaretta, quando una ragazza esce dal bagno di fianco a lui.
S. muore. O meglio, prova cosa si prova a morire.
Dimenticò di far battere il cuore per qualche secondo e quello per recuperare iniziò a correre come un maledetto pazzo.
La ragazza si massaggiava le mani sotto il getto d'acqua fredda mentre S. cercava di muoversi da quella posizione ridicola in cui era rimasto.
Dove le metto? DOVE CAZZO LE METTO? Le metto in tasca. Nella tasca della giacca. Mi serve una sigaretta.
Si cacciò una sigaretta in bocca e si mise le mani in tasca, come aveva premeditato, e si avvicinò al lavabo per lavarsi le mani senza neanche aver pisciato.
Ormai avrebbe potuto disegnarla, quella ragazza. Sel'era stampata bene in testa, in pochi secondi.
Era piuttosto bassa, almeno in confronto a lui che era alto più di un mentro e ottantacinque, aveva i capelli castano chiari mossi, gli occhi marroni e un naso leggermente storto, perfetto. La bocca era di quelle con cui ci puoi fare qualsiasi cosa. Di quelle con cui i sorrisi hanno un altro sapore. Di quelle che non fanno che abbellirsi con il tempo, con le fossette che si marcano sempre di più ai lati delle labbra.
Mentre guardava il rubinetto scorrere si rese conto che la ragazza si era fermata a parlare al cellulare dentro il bagno.
S. continuò per un pò a dipingersela in testa, fissando il getto d'acqua e muovendo inutilmente le dita. Alzò lo sguardo verso lo specchio e si guardò negli occhi... come se dovesse mettersi soggezione da solo. ottenne solo un gran senso di frustrazione. ogni particolare sulla sua faccia gli diceva che la ragazza al cellulare non faceva parte della sua vita. che era nato per mirare più in basso, che avrebbe dovuto accontentarsi. Si mise una mano in faccia e si strinse le guance. guardò la mano. si ricordò del disagio che aveva provato poco prima perchè non sapeva dove metterla. Si rese conto di non essere normale, di non avere nessuna possibilità con una ragazza come quella.
Decise cosa doveva fare.
Srotolò della carta asciugamani. Ne srotolò molta. Se ne riempì una mano. S. aveva una mano piena di carta asciugamani.
S. e la sua mano di carta si avvicinarono lentamente verso la schiena (coperta da una giacca che addosso a chiunque altro avrebbe fatto ridere) della ragazza.
La mano e la carta oltrepassarono la schiena e la giacca e tapparono la bocca di quella creatura unica al mondo.
La ragazza iniziò ad agitarsi. Si agitava troppo per i gusti di S. che stava riflettendo sul fatto che la sua mano, quella mano ora piena di carta che prima aveva cercato di nascondere nella tasca dei jeans, stesse toccando quelle labbra capaci di qualsiasi cosa.
La ragazza si stancò presto e mise giù le braccia, le stese lungo i fianchi ma iniziò a bagnare la carta asciugamani di lacrime.
Cristo scusami. Sono un mostro. Un maledetto mostro.
Perchè ti sto facendo questo? Perchè tu mi hai fatto quello che hai voluto, ecco perchè.
Sei entrata nel mio cervello attraverso gli occhi. Hai fermato il mio cuore. Hai ogni briciola d'umanità. Mi hai urlato dentro al cuore. Ci hai urlato che non avrò mai sulle labbra una bocca come la tua. Una bocca che guarisce e fa ammalare.
Non avevi il diritto di trattarmi così. Non avevi il diritto di nascere così lontano dalla mia vita.
Mentre, in silenzio, pensava tutto questo la ragazza, che ormai aveva finito forze e lacrime, diventò di colpo troppo pesante e si accasciò contro di lui.
La guardò posarsi lentamente sul pavimento, scivolando sui suoi jeans. Le levò la carta fradicia dalla faccia e si accorse che il trucco le aveva fatto delle lunghe righe come lacrime sotto gli occhi.
La guardò bene per qualche secondo stesa lì per terra tutta macchiata di trucco, con la faccia esausta e umida e la bocca contratta in una smorfia che non aveva più nessuna traccia del potere di prima.
La sistemò seduta contro il muro di piastrelle bianche ed uscì dal bagno.
Intravide la sua birra nuova ormai senza schiuma sul bancone e il suo sgabello ancora libero.
-Fanculo- sussurrò. Poi si sedette, abbracciò il bicchiere e gli diede un bacio che non avrebbe mai dimenticato.
A proposito di cani
13 anni fa
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