domenica 25 gennaio 2009

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La prima volta che entrai nel reparto rianimazione di un ospedale il mio cuore sembrava aver capito tutto. Credo pensasse di approfittare dell'occasione e collassare in quel momento, già che c'era.
Inondava le vene di globuli bianchi e rossi, di piastrine. mi stava affogando nella sua sbobba porpora. La testa pesava qualche chilo di troppo, il cervello zuppo di sangue aveva rubato il fluido ai miei piedi. alle mie gambe. al mio uccello.


Il Cervello.
La poltiglia molliccia. la centrale elettrica. la hall. il corso affollato. gli interruttori. on/off. click/clack.
Tutto in una scatola d'osso.


(Sono sempre stato convinto che ci sia qualche problema di comunicazione, tra me e il mio cervello. che non riusciamo a intenderci per bene.
io gli do del dispettoso.
lui mi da dell'incapace.
eppure si è costretti a far la pace, quando si vive l'uno nell'altro. e lui non ha neanche il mignolino da far dondolare.)

E così la prima volta che entrai nel reparto rianimazione di un ospedale il mio cuore pompava robaccia al cervello dispettoso, che gonfio mi lasciava solo e inebetito.
Incastravo un piede davanti all'altro, strisciando una gamba del jeans contro l'altra a tempo.
frush, frush. un, due. rinse and repeat.
Uno zombie semi-irrigato. uno zombie semi-irrigato con le mani tremolanti. Ero terrorizzato.
Mia zia aspettava che entrassi nella stanza insonorizzata e sterile, con vetri doppi e macchinari bippeggianti. stesa sul lettino, sveglia ed incapace a muoversi.
Doveva averci litigato di brutto, col suo cervello. Quello doveva averla mandata a quel paese definitivamente. Anzi, peggio, doveva averle dimostrato quanto poteva essere infimo, lasciandola cosciente ma disabilitata.
Cattiveria, rimorso, perdono, movimenti. Eppure sono tutte cose che stanno dentro al cervello.
Mi ponevo la domanda.
Intanto, però, badavo a perdere tempo, a fare passi piccoli, a non sorpassare troppo in fretta la soglia di quella stanza.
La verità è che non sapevo cosa dire.
Il silenzio. Ecco cosa mi terrorizzava.

Il punto è che quando nasci erediti immediatamente qualcosa. I parenti.
Tu non scegli loro, loro non scelgono te. Così finisce che per anni vivi come se non li avessi.
Per anni il natale e i parenti sono due cose comunque indipendenti. Per te non hanno collegamento, punto e basta.
Un giorno, però, il cervello di qualcuno fa lo stronzo e così ti ritrovi a indossare un camice verde, mentre scorri in fretta i possibili argomenti e ti cachi in mano perchè la bocca potrebbe restarti immobile.
Funziona così, c'è poco da fare. Ogni giorno soquanti cervelli decidono di non fare più il loro lavoro, di trasformarsi in pappetta inutile, ma a te non te ne frega niente. Continui ad annoiarti, a sonnecchiare, a masturbarti allegramente.
Il ventiqualcosa dicembre del duemilaqualcosa, invece tocca al grigiume di un parente, comunque indipendente dal tuo alberello luccicante di palline catarinfrangenti, ma non riesci a fregartene. Vorresti ma non puoi. E' qualcosa di subdolo e nascosto, come le cisti appena nate. un dispiacere velato, mai provato, tutto nuovo, orrendo.


La Confusione.
La luce artificiale. il fragore dei piatti unti nel secchiaio. la locomotiva. sabato in centro. la quinta classe, sezione D.
Tutta tua. Incondivisibile.


Prima o poi, però, tutti i pavimenti finiscono. anche quello del corridoio del reparto rianimazione dell'ospedale in cui entravo per la prima volta.
Lei respirava e parlava dentro una mascherina con dei fori dotata di tubo. Svariati fili le contavano i bum del cuore. qualche pinzetta qua e là tranquillizzava le macchine. tutto andava bene, per ora. ogni pezzettino immobile del corpo di mia zia era ben ossigenato.
Le mie mani vibrarono fino alla sponda gelida del letto, poi lentamente una si spostò verso la sua spalla e lì si afflosciò.
cercare contatto. più o meno di questo non riesco a fare.
Vorrei metterla in piedi e vederla camminare, vederla stupirsi, certo. come no. ovvio che vorrei.
Ma contatto. contatto la sua spalla attraverso il pigiama fino di cotone e lascio che i vetri spessi della stanza uccidano la mia voce, finalmente uscita dalla mia bocca secca.

Bla bla bla morti spalmati sui vetri.
Non ricordo cosa dissi. Ricordo qualcosa di ciò che disse lei, col tono profetico di chi sta per morire e non vuole pensare a se stesso.
Ricordo benissimo le quattro dita che mi si riscaldavano contro la sua spalla, che sputavano elettricità, che irradiavano tensione, che facevano tutto il lavoro.

La prima volta che entrai nel reparto rianimazione di un ospedale ci fu il terrore, e poi il calore.


Il Dispiacere.
Le partenze in treno. la famiglia. gli amici. il sesso. la musica. l'ultima pagina. i titoli di coda. il cane ammalato. ciò che non hai avuto. ciò che non avrai mai.
L'aria che ancora respiri.

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